Umberto Cavenago

Via Meza Campagna 62, 6803 Camignolo
venerdì 23 maggio
dalle ore 20:30 alle 24
Parcheggio privato disponibile davanti all'atelier
L’officina dell’arte come dispositivo mobile
Umberto Cavenago nasce a Milano nella seconda metà del Novecento e, nel primo decennio del Duemila, trasferisce il proprio baricentro creativo in Svizzera. È un passaggio geografico che corrisponde a uno slittamento concettuale: dal luogo della produzione all’ambiente della riflessione, dal contesto urbano all’apertura naturale, mantenendo però intatto il rigore del gesto e la tensione del progetto.
La sua pratica non si adagia nella distinzione tra arte e design, ma scava nella soglia, nel punto esatto in cui il pensiero si fa forma e la forma si fa dispositivo. Non si tratta di costruire oggetti, ma di mettere in moto meccanismi critici. Le sue opere non cercano la celebrazione, non ambiscono alla permanenza del monumento, ma si offrono come interrogazioni spaziali, come presenze mobili che destabilizzano il luogo e lo reinventano.
Il metodo di Cavenago è quello dell’officina: studio di fattibilità, disegno tecnico, scelta dei materiali, calcolo, realizzazione. Ma ogni fase è tradita con consapevolezza. Nulla è destinato alla serie, tutto è irripetibile. Il protocollo industriale è attraversato e sovvertito: anziché moltiplicare, produce singolarità. Anziché ottimizzare, resiste. La sua è una macchina che non funziona secondo le logiche del mercato, ma secondo le urgenze del pensiero.
La ruota, elemento ricorrente, diventa emblema di questa tensione. Da articolazione meccanica a simbolo di mobilità concettuale, da protesi funzionale a soglia percettiva. Le opere non si limitano a occupare uno spazio, lo sollevano, lo trasportano altrove. L’oggetto diventa vettore, e la scultura un atto di movimento potenziale. L’immobilità viene sfidata, lo stallo trasceso.
La riduzione formale è un altro dei suoi strumenti: superfici pure, geometrie essenziali, tagli netti. Non per sottrarre senso, ma per costringerlo a manifestarsi. Questi oggetti, che richiamano il linguaggio della produzione industriale, ne sono in realtà l’eco svuotata, privata di funzione, portata al suo margine semantico. Non sono macchine, ma l’idea di una macchina che ha rinunciato a servire.
Negli ultimi anni, la sua opera si espande, si fa architettura. Non per erigere edifici, ma per generare spazi percorribili, attraversabili, esperibili. L’oggetto non è più al centro: è l’ambiente, è il corpo, è l’interazione. Il pubblico non è più spettatore, ma abitante temporaneo, chiamato a misurarsi con una presenza che modifica la percezione del luogo.
Lo spazio architettonico, che nella tradizione occidentale è il contenitore neutro dell’opera, viene qui indagato come soggetto: deformato, reso instabile, costretto a cambiare. Le sculture di Cavenago sono dispositivi di attrito, strumenti di disallineamento. Non offrono risposte, pongono domande. Non illustrano, attivano. Ed è in questa attivazione che si compie il gesto artistico: uno spostamento lento, ma radicale, del modo in cui abitiamo lo spazio e guardiamo ciò che chiamiamo arte.

Ringway, 2015
Alluminio, acciaio e gomma
160 × 160 × 25 cm

Umberto Cavenago

Via Meza Campagna 62, 6803 Camignolo
venerdì 23 maggio
dalle ore 20:30 alle 24
Parcheggio privato disponibile davanti all'atelier
L’officina dell’arte come dispositivo mobile
Umberto Cavenago nasce a Milano nella seconda metà del Novecento e, nel primo decennio del Duemila, trasferisce il proprio baricentro creativo in Svizzera. È un passaggio geografico che corrisponde a uno slittamento concettuale: dal luogo della produzione all’ambiente della riflessione, dal contesto urbano all’apertura naturale, mantenendo però intatto il rigore del gesto e la tensione del progetto.
La sua pratica non si adagia nella distinzione tra arte e design, ma scava nella soglia, nel punto esatto in cui il pensiero si fa forma e la forma si fa dispositivo. Non si tratta di costruire oggetti, ma di mettere in moto meccanismi critici. Le sue opere non cercano la celebrazione, non ambiscono alla permanenza del monumento, ma si offrono come interrogazioni spaziali, come presenze mobili che destabilizzano il luogo e lo reinventano.
Il metodo di Cavenago è quello dell’officina: studio di fattibilità, disegno tecnico, scelta dei materiali, calcolo, realizzazione. Ma ogni fase è tradita con consapevolezza. Nulla è destinato alla serie, tutto è irripetibile. Il protocollo industriale è attraversato e sovvertito: anziché moltiplicare, produce singolarità. Anziché ottimizzare, resiste. La sua è una macchina che non funziona secondo le logiche del mercato, ma secondo le urgenze del pensiero.
La ruota, elemento ricorrente, diventa emblema di questa tensione. Da articolazione meccanica a simbolo di mobilità concettuale, da protesi funzionale a soglia percettiva. Le opere non si limitano a occupare uno spazio, lo sollevano, lo trasportano altrove. L’oggetto diventa vettore, e la scultura un atto di movimento potenziale. L’immobilità viene sfidata, lo stallo trasceso.
La riduzione formale è un altro dei suoi strumenti: superfici pure, geometrie essenziali, tagli netti. Non per sottrarre senso, ma per costringerlo a manifestarsi. Questi oggetti, che richiamano il linguaggio della produzione industriale, ne sono in realtà l’eco svuotata, privata di funzione, portata al suo margine semantico. Non sono macchine, ma l’idea di una macchina che ha rinunciato a servire.
Negli ultimi anni, la sua opera si espande, si fa architettura. Non per erigere edifici, ma per generare spazi percorribili, attraversabili, esperibili. L’oggetto non è più al centro: è l’ambiente, è il corpo, è l’interazione. Il pubblico non è più spettatore, ma abitante temporaneo, chiamato a misurarsi con una presenza che modifica la percezione del luogo.
Lo spazio architettonico, che nella tradizione occidentale è il contenitore neutro dell’opera, viene qui indagato come soggetto: deformato, reso instabile, costretto a cambiare. Le sculture di Cavenago sono dispositivi di attrito, strumenti di disallineamento. Non offrono risposte, pongono domande. Non illustrano, attivano. Ed è in questa attivazione che si compie il gesto artistico: uno spostamento lento, ma radicale, del modo in cui abitiamo lo spazio e guardiamo ciò che chiamiamo arte.

Cavenago pittore